Elencare i fattori che contribuiscono al successo di un’azienda non è esercizio semplice. Gli ingredienti della ricetta perfetta variano a seconda dei casi. Capacità di visione, flessibilità ed adattamento ai cambiamenti, insieme a passione e senso pratico, possono senz’altro essere annotati tra gli elementi base.

Una buona domanda potrebbe riguardare il futuro. Immaginare la propria attività da qui a vent’anni dà un’idea abbastanza precisa su come si vive l’oggi: punto di arrivo o base per un nuovo rilancio? Parlarne con il Capitano Rosario Trapanese, fondatore e attuale Director New Development and Strategy di IMAT, va da sé, fa pendere il piatto della bilancia tutto sul secondo corno del dilemma.

L’uomo che ha trasformato il settore del training marittimo in Italia, introducendo innovazioni in sequenza sotto l’aspetto organizzativo, tecnologico, didattico, sta già ragionando sull’ennesima rivoluzione da proporre. D’altronde, chi in altri tempi ha navigato con lui garantisce che ha sempre avuto il pallino del cambiamento:

«Quando ho deciso di scendere a terra e di imbarcarmi nell’avventura della formazione partivo da un’esigenza precisa: riuscire a risolvere i tanti problemi che ci trovavamo ad affrontare a bordo,» spiega. «Una visione precisa che con il passare del tempo è evoluta, si è adattata al cambiamento dei contesti ma è sempre stata portata avanti con determinazione e caparbia».

A venticinque anni circa da quel momento, dopo aver introdotto per primo il concetto di nautical college, i contratti con le grandi compagnie di navigazione, la tecnologia di simulazioni interattive e, più di recente, la replica in scala reale del ponte di una nave, parla di «chiudere il cerchio». La nuova visione è quella di:

«Un servizio integrato completo di tutti gli aspetti che riguardano il training».

Come è arrivato a questa convinzione?

Un piccolo passo indietro che riguarda la nostra propensione ad osservare da vicino i cambiamenti del mercato nel settore dello shipping.

Da realtà a vocazione internazionale, pur sempre focalizzata sulle esigenze italiane, registriamo una differenza crescente tra domanda e offerta di personale marittimo. D’altro canto basta guardare all’orderbook delle nuove costruzioni navali per i prossimi cinque anni: dai nuovi contratti per le nuove unità da crociere fino a quelle per traghetti e cargo serviranno, mal contati, circa nuovi 200.000 marittimi. Non sono numeri piccoli da riuscire a gestire in un lasso di tempo così breve. A meno che non si facciano determinati passi per anticipare il problema.

Quali?

Servirebbe fare sistema. Riuscire a realizzare sinergie virtuose tra mondo dell’educazione e mondo del training, secondo una visione che vada oltre gli attuali ambiti settoriali. Purtroppo, è un obiettivo difficile da raggiungere.

Le risorse del PNRR si sono riversate in interventi che hanno rafforzato le strutture interne rendendo più complicata la possibilità di collaborazione. L’idea di una joint venture tra una MTO (Marine e Technical Operations) Academy come IMAT e un ITS o un’accademia per collaborare, ad esempio, nel settore hotellerie e servizi di bordo appare sempre più peregrina.

Una situazione che, per un discorso di visione, di crescita e di futuro, ci induce a prendere in considerazione l’idea di chiudere il cerchio. Vale a dire: recruiting, training, manning. Attirare persone, formarle e fornirle direttamente alle società di navigazione.

In che modo pensate di raggiungere l’obiettivo?

La nostra idea è di realizzare un vero e proprio campus. Esistono decine di ruoli e dipartimenti da sviluppare in modo da fornire una formazione ad hoc per ogni funzione da ricoprire a bordo di una nave.

Un tipo di struttura di questo tipo permetterebbe, soprattutto, l’interazione necessaria tra tutti i membri di un potenziale equipaggio. Ovviamente, avendo intrapreso la strada del training su strutture reali, al centro di questa struttura ci sarebbe una nave da crociera costruita a terra, con almeno tre ponti, su cui organizzare le attività per tutti i corsi relativi.

Quali sarebbero le dimensioni di questo asset?

Esclusa la possibilità di acquisire una unità in dismissione, difficile da gestire sul lungo periodo, siamo propensi alla realizzazione di una struttura a terra con grandezze e spazi di una nave da crociera.

Essa rappresenterebbe il fulcro delle attività di formazione per il personale di camera, di sala, di cucina, ecc. I marittimi formati – adatti a tutti i target commerciali del settore – lasciato il campus sarebbero direttamente pronti per l’imbarco.

Quest’impostazione andrebbe a risolvere anche una criticità crescente per quello che concerne la sicurezza a bordo.

In che modo?

L’aumento esponenziale delle unità in servizio si riflette anche sui livelli di sicurezza. È una questione matematica: il rischio di incidenti cresce con l’aumento delle attività.

È per questo che gli equipaggi, per la credibilità stessa dell’industria crocieristica, dovranno essere in grado di gestire ogni eventuale situazione di emergenza. Ed è proprio per rispondere a questa esigenza che il progetto della nave a terra prevede l’equipaggiamento con un’intera batteria di mezzi di salvataggio.

L’obiettivo è poter condurre esercitazioni di evacuazione in un ambiente più realistico possibile. Stiamo cercando di far capire agli armatori quanto passare in questa particolare modalità di formazione rappresenti un vero e proprio investimento.

Ci vorrà un po’ di tempo, ma siamo certi che ci seguiranno su questa rotta.

Ritorniamo alla difficoltà di reperire marittimi. A cosa è dovuto?

C’è una crisi di vocazione perché manca l’attrattore fondamentale degli anni passati. Il lavoro sul mare non è più considerato come un elemento di riscatto sociale. Questo è dovuto senza dubbio all’avanzamento materiale della nostra società.

Ma nel frattempo anche la natura dell’attività del marittimo è cambiata. Oggi, ad esempio, i periodi di imbarco sono certo meno faticosi che in passato e anche le polemiche che si sentono e si leggono in giro sulla mancanza di tutele mi sembrano un falso problema.

Anche grazie agli accordi stretti da IMAT con i maggiori gruppi armatoriali nazionali e internazionali, il costo dei corsi obbligatori è crollato. Nemmeno la scusa degli alti livelli di ingresso alla carriera tiene.

Piuttosto bisognerebbe puntare a far conoscere meglio le opportunità, anche economiche, legate a questo tipo di lavoro.

In definitiva, dove spera di trovarsi tra vent’anni?

Credo che la visione del campus per quel tempo sarà già pienamente a regime da alcuni anni, mentre, come sempre, la struttura operativa di IMAT starà pensando alle nuove migliorie e alle novità da introdurre per coadiuvare al meglio l’industria dello shipping di metà XXI secolo.

La costante, rispetto ad oggi, dovrà essere la qualità del personale formato: dagli ufficiali al cameriere che serve a tavola, ognuno dovrà garantire il massimo delle performance.

Dunque, cosa determina il successo di un’impresa?

Un conto è un’idea, una visione che si vuole perseguire, un altro è la sua messa in atto.

Guardando a ciò che è stato realizzato finora sono stati necessari innanzitutto costanza, perseveranza, volontà. Soprattutto la passione per le cose in cui si crede, non disgiunta dalla concretezza imprenditoriale cui è chiamato chi vuole far crescere una sua visione del mondo.

In questo sono stato ben coadiuvato da una serie di collaboratori che hanno risposto sempre con entusiasmo alle sollecitazioni di un settore in continuo cambiamento.

Insomma, avere idee da realizzare ma, allo stesso tempo, adattarsi al momento, ai tempi, alle esigenze. Quello che abbiamo sempre fatto in IMAT reinvestendo continuamente nella crescita del capitale umano, nell’introduzione di nuove tecnologie, nella realizzazione delle strutture adatte.